Il secolare mulino di Valle Re
Dopo l’anno Mille, anche sui nostri territori comparvero i primi mulini ad acqua. La macinazione dei cereali, di vitale importanza per la sussistenza delle popolazioni, fu praticata per lunghi secoli, sfruttando in questi opifici l’energia idraulica, la cui disponibilità si accrebbe costantemente con il graduale sviluppo delle opere di bonifica.
Nel 1484, quando i territori di Castelnovo Sotto e della villa di Campegine passarono sotto il governo degli Estensi, furono censiti sette mulini, cinque a Castelnovo e due a Campegine. Tra questi, il mulino Valle, alimentato con le acque del canale della Valle, chiamato anche “del Mulino”, in pratica, una derivazione (600 metri circa, oggi non più esistente) del cavo Rubino che, a valle del mulino, dopo aver ricevuto al chiavicone Flori le acque del cavo Cava, dava principio al canal Nuovo.
In una relazione dell’Ufficio Tecnico di Finanza di Modena del 1904, il mulino risulta “…costituito da tre macine comuni da cereali, più una grolla, messe in moto da quattro ruote idrauliche verticali…” all’epoca, proprietà di Arnoldo Levi, discendente della nobile famiglia che alla fine del Settecento aveva in proprietà la Valle. In questo stesso opificio si lavorava anche il riso proveniente dalle risaie circostanti.
Sono ormai lontani i tempi in cui il mugnaio portava un sacco di farina alle famiglie della Valle a dorso di mulo o caricandosi il pesante fardello sulle spalle. Nel corso del Novecento, l’attività dell’opificio andò via, via riducendosi. Durante il ventennio fascista, difatti, vigeva l’obbligo di conferire le granaglie agli ammassi e il mulino fu dotato di un lignotero (tritatutto), atto a macinare granone, gusci di noci, paglia, spagna, foglia, per ottenere un alimento adatto al nutrimento dei maiali allevati presso i due caseifici della Valle. Negli anni successivi alla Liberazione, le farine ottenute con il lavoro manuale, furono progressivamente sostituite con prodotti industriali, meno costosi. Così, nel 1960, il mulino di Valle Re cessò la sua secolare attività, per essere poi riadattato e incorporato nell’abitazione rurale esistente.
Oggi, questo solitario abitato di campagna giace in stato di abbandono. Resta la toponomastica a evocare la vita di quel tempo lontano. L’antica strada bianca che raggiunge l’opificio, difatti, porta il nome di Mulino Re, ricordando la presenza del mulino e gli antichi proprietari. La strada, che si dirama da Stradone Re, un tempo superava con ponticelli e passerelle Rubino e Cava per raggiungere corte Casaloffia, da dove era possibile proseguire per Cella, fino alla città. Una sorta di crocevia viario che i campeginesi più anziani custodiscono ancora nella memoria. (Testo di Giovanni Cagnolati)