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Corte Valle Re

Corte Valle Re

   La Valle di Campegine disegna una vasta depressione a sud-est del territorio campeginese ove, anticamente, scorreva un ramo del torrente Enza. La presenza di acque nascenti ha favorito, fin dalla preistoria, diversi insediamenti umani in quest’area. Un documento, risalente al 1143, cita la presenza di un castello detto della Montanara, situato nella parte più a meridione della Valle. La corte, di probabile impianto seicentesco, cuore pulsante dell’antico governo di queste terre, mostra ormai al visitatore i segni di un lungo abbandono. Il complesso architettonico è delimitato a sud da un lungo fabbricato, ove si trovano: l’oratorio dedicato alla Beata Vergine, i magazzini e le misere dimore dei braccianti agricoli. Il fabbricato è attraversato da un sottopasso centrale, sormontato da una torretta. A nord della grande aia, si erge il palazzo padronale, ai lati del quale si trovano due corpi di fabbrica adibiti a stalle e fienili.

Nei secoli dopo il Mille, la proprietà della Valle appartenne alla casata feudale dei da Correggio, già signori della villa di Campegine. Nel 1724, dopo diversi passaggi di proprietà, la Valle fu acquistata dalla nobile famiglia Re, i cui eredi, fra i quali il celebre agronomo Filippo Re, ne conservarono il possesso fino al 1790, quando l’intera possessione fu ceduta ai conti Levi, una nobile famiglia ebrea di Reggio Emilia.

A Valle Re, nel corso dei secoli, grazie alla presenza delle risorgive si sviluppò una fiorente economia agricola. L’abbondanza d’acqua, oltre a permettere la coltivazione del riso – 35 biolche nel 1793 – che si protrarrà fino ai primi decenni del Novecento, consentiva, nelle siccitose estati, di irrigare i prati stabili, garantendo il raccolto di ottimi foraggi, indispensabili per il ciclo di produzione del formaggio di grana.

La grande estensione della Valle presentava diverse tipologie di terreno, in base alle quali si differenziavano anche le colture. Gran parte del paesaggio agrario era caratterizzato dalla presenza della piantata, ossia della vite maritata all’olmo, dalla quale si otteneva un vino gustoso e di buona qualità. Importante era la produzione di cereali, le cui granaglie erano affidate per la molitura al mulino della Valle. Da segnalare, fino al secondo dopoguerra, anche la coltura del pomodoro. Atipico, ma presente per molti anni, il melonaio con il classico casotto, luogo di ritrovo nelle notti d’estate.

Oltre la corte, il giardino del palazzo padronale, gli incantevoli laghetti che costellavano i millenari prati stabili, il territorio della Valle era suddiviso in diversi fondi, solitamente condotti a mezzadria.

I terreni più a sud, in parte sotto il Comune di Reggio Emilia, costituivano la tenuta Fienile, cui appartenevano i fondi: Guardia, Pozzo, Lisino, Corte Fienile, Ala, Mezzo, Tilde, Alba, Antonia, Elsa, Fontane. Proseguendo verso nord, in comune di Campegine, si stendeva la tenuta Valle Re, costituita dai fondi: Monte, Arnolda 1^, Arnolda 2^, Corte Valle Re, Roberta, Bosco 1, Bosco 2, Ca Bassa, Mulino, Quartieri, Massa, Pratone.

Nella prima metà del Novecento, oltre venti famiglie traevano il loro sostentamento dal duro lavoro di queste campagne. Le festività religiose si intrecciavano con il ritmo delle stagioni: la recita del rosario nel mese di maggio, il ballo sull’aia la sera di san Giovanni, la sagra dell’Immacolata, quando il parroco di Campegine celebrava la Santa Messa all’oratorio… In quelle sere si poteva fare tardi, al mattino però, c’erano sempre 350 vacche da mungere e 250 vitelli da governare, tanti erano i capi di bestiame nella valle. Le vacche erano in gran parte di razza rossa reggiana, immancabili all’esposizione dell’antica Fiera del Bestiame di Campegine, cui si aggiunsero, nel corso degli anni, le pezzate nere di razza olandese.  Alla lavorazione dei 50 quintali di latte giornalieri, provvedevano in equa misura, i caseifici di corte Fienile e Valle Re.  La riproduzione del bestiame da allevamento era garantita dalla monta aziendale che disponeva di tre mastodontici tori di razza reggiana: Sultano, Torino e Timido, oltre al capostipite olandese Gaio, con il figlio Spartaco.

La gestione dei fondi era affidata ad amministratori e fattori, che dimoravano nel palazzo padronale. Resta vivo il ricordo della visita che la contessa Gabriella Levi Sottocasa faceva nei suoi possedimenti, tutti gli anni, il 20 maggio. Quando ancora il lavoro si svolgeva con la forza delle braccia e degli animali, la proprietà metteva a disposizione dei contadini coppie di buoi per il disbrigo dei lavori più pesanti, specie l’aratura. Con l’introduzione delle prime macchine agricole, arrivò anche un Landini testa calda e le prime falciatrici, ma non ci furono mai investimenti importanti in tal senso, privilegiando affidare a terzi i lavori con mezzi meccanici, specialmente a partire dall’immediato secondo dopoguerra, quando, a Campegine, fu costituita la Cooperativa Motoaratura.

La proprietà si serviva anche di valenti artigiani: un muratore, un fabbro, un falegname, un maniscalco. Di casa in casa, passavano poi gli ambulanti: venditori di generi alimentari, merciai, ciabattini, ombrellai, straccivendoli, seggiolai, pollivendoli… e nelle ricorrenze perfino il carrettino dei gelati, tanto che gli abitanti della Valle difficilmente si potevano incontrare in paese. Gli stessi bambini, per diversi anni, frequentarono le scuole della Razza, poco oltre il confine di ponente della Valle, raggiungibili percorrendo i sentieri e le carraie che attraversavano i campi.  Solo nel secondo dopoguerra, quando la bicicletta era ormai alla portata di tutti, i giovani e le ragazze di Valle Re, nelle serate dei giorni di festa, frequentavano numerosi la sala cinematografica Aurora di Campegine.

Questo mondo essenziale, scandito dai ritmi della natura, intriso di fatica e di grande umanità, si è andato via, via disgregando, sotto la spinta di un cambiamento tecnologico e sociale inarrestabile.

Nel 1951, quando le possessioni furono divise fra le tre figlie di Gabriella, le contesse del ramo Sottocasa: Ferdinanda, Elisabetta e Arnolda, la proprietà contava 1.287 biolche e i fondi erano ancora condotti a mezzadria, non senza il malcontento dei contadini, che pretendevano spettanze dei prodotti superiori alle percentuali fissate dai patti agrari vigenti. Nel 1952, la proprietà iniziò a smembrarsi, fu difatti venduta a privati la quadra Massa, mentre la conduzione dei fondi si avvaleva di alcuni salariati fissi e di manodopera avventizia. Nel 1958, mentre era già in atto l’inesorabile esodo delle famiglie, iniziarono i lavori per la costruzione del tratto di autostrada del Sole che attraversava la Valle, mutando definitivamente l’antico paesaggio. Trascorse qualche anno e anche la cura e l’anima contadina che forgiarono l’identità di questo luogo, si spensero per sempre.

Oggi, Valle Re, oltre alle tracce del passato, ci offre soprattutto la possibilità di visitare la Riserva Naturale dei Fontanili, un ambiente di alto valore naturalistico e paesaggistico della nostra pianura. (Testo di Giovanni Cagnolati)

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